L’approccio sull’efficienza di un sistema, qual è anche un’azienda agricola, va operato con un criterio molto più complesso rispetto a quello seguito fino ai giorni nostri.Per implementare sistemi agricoli resilienti bisogna tenere conto degli aspetti legati all’efficienza dei sistemi ecologici ed ai loro delicati equilibri; bisogna, pertanto, abbandonare gran parte degli assunti su cui si sono basati i modelli agricoli di tipo intensivo ed industriale, inserendo nell’algoritmo progettuale una serie di considerazioni e funzioni fin troppo trascurati.Per questo motivo, prima ancora di organizzare un sistema produttivo, è necessario effettuare, preliminarmente, lo studio degli ecosistemi (habitat) ove è inserita l’azienda, individuando di conseguenza le migliori soluzioni.Gli habitat, infatti, vanno soggetti a cambiamenti e alterazioni che comportano variazioni nei loro equilibri, nelle loro dinamiche e nelle loro ricadute sulla matrice complessiva del sistema terra. Questi cambiamenti sono causati da alterazioni delle pratiche agricole, del turismo, dell’inquinamento, della frammentazione e del cambiamento climatico (Miller G. T., Spoolman S. 1999).Le pratiche agricole, anzi, per la loro notevole incidenza sugli ecosistemi, in termini di superficie occupata e di input esterni, figurano tra i fattori di maggiore trasformazione degli equilibri naturali a livello globale.È in tale direzione che, per operare scelte idonee alla massima salvaguardia degli habitat, bisogna approfondire alcuni concetti, sopra esposti, legati allo studio dei sistemi energetici applicati ai sistemi ecologici, quali sono anche le aziende agricole.Quando progettiamo un’azienda, col suo ordinamento produttivo e la sua organizzazione, operiamo delle scelte che, di frequente, fino ad oggi, non sono state suffragate da un’attenta connessione tra principi ecologici ed energetici ma solo da altri criteri; questi criteri corrispondono in genere a varie esigenze che nell’ordine possiamo sintetizzare come segue:– di ordine commerciale, in quanto l’agricoltore tende a coltivare o allevare specie richieste dal mercato di riferimento;– per conoscenza od esperienza personale sulla loro coltivazione o allevamento;– per tradizione territoriale;– per altre motivazioni, quali curiosità, sentito dire, ecc.Tra le analisi e le opportunità valutate non rientrano quindi, spesso, i criteri e la preoccupazione di progettare un sistema che risponda, in maniera più efficiente, alla trasformazione delle energie e alle dinamiche presenti in un determinato habitat.Progettare secondo questo criterio non risponde tuttavia a mere applicazioni di leggi della fisica ma anche a concrete valutazioni di ordine ecologico ed economico.Troppo spesso abbiamo separato, sia a livello macroscopico che microscopico, le leggi dell’economia dalle leggi della fisica, con le conseguenze visibili e tangibili di un sistema economico che interferisce negativamente su natura ed umanità impoverendole sempre più.In nostro soccorso, ed a favore di una economia più reale e concreta, ci è venuto incontro l’economista di origine rumena Nicholas Georgescu-Roegen, con il suo saggio sui legami tra fisica ed economia (The Entropy Law and the Economic Process del 1971).In questo saggio viene evidenziato come la seconda legge della termodinamica riguardi anche i processi economici; in tal senso quando i sistemi economici non vengono messi in relazione alle esigenze della termodinamica questi comportano un’alterazione negativa della disponibilità energetica, con conseguenze ambientali potenzialmente distruttive: più grande è infatti la conseguente dispersione energetica (dispersione che ha carattere irreversibile), più grande è la quantità di energia che viene sottratta al sistema e quindi anche alle generazioni future, nonché il disordine che viene riversato nell’ecosistema.Georgescu-Roegen, nel suddetto saggio, ha dimostrato come la crescita economica infinita (sia a livello di piccola azienda che di macrosistema) non è solo economicamente insostenibile, ma anche fisicamente impossibile.Occorre, pertanto, rivedere e riconvertire la teoria economica tenendo conto della seconda legge della termodinamica, creando una teoria ibrida che Georgescu-Roegen chiama “teoria bioeconomica”, che si occupi del problema della distribuzione dei beni e delle risorse e della soddisfazione dei bisogni umani in un contesto di decrescita economica.Sempre secondo l’autore del saggio il peccato originale della teoria neoclassica è “l’ignorare l’ambiente naturale nella sua rappresentazione dei processi economici”. Egli afferma che tale concezione è un vero e proprio “mito economico”, privo di alcun riscontro scientifico; un retaggio del positivismo ottocentesco che vede l’uomo in grado di risolvere qualsiasi problema gli si ponga davanti grazie al suo genio e al progresso tecnologico. Non è possibile, inoltre, come suggerisce l’economista Robert Merton Solow, di fare a meno delle risorse naturali nel processo produttivo (Solow R.M. 1955).Tale assunto fu elaborato da Solow nel suo noto lavoro inerente l’ambito della teoria della crescita in economia, cosiddetto modello di Solow, o modello di Solow-Swan o anche modello neoclassico di crescita.Georgescu-Roegen afferma, tra l’altro, che anche la possibilità di conversione di alcune risorse in altre, più utilizzabili, non fa altro che rimandare il problema. Tale conversione richiede infatti ulteriore energia, aumentando l’entropia del sistema. In realtà, infatti, “il processo economico, come tutti gli altri processi dei viventi, è irreversibile (e lo è in maniera irrevocabile): di conseguenza non si può descriverlo solamente in termini meccanici. È la termodinamica, tramite la legge dell’entropia, che riconosce la distinzione qualitativa, che gli economisti avrebbero dovuto fare sin dal principio, tra gli input sotto forma di risorse di valore (bassa entropia) e gli output sotto forma di rifiuti senza valore (alta entropia).Inoltre partendo dall’evidenza scientifica della seconda legge della termodinamica, che implica l’esistenza di limiti intrinseci allo sviluppo che possono essere semplicemente posticipati (e non evitati) cercando di limitare al massimo la degradazione entropica delle risorse, egli approda ad una nuova visione economica che chiama, appunto, “teoria bioeconomica”, nella quale i limiti imposti dalla fisica e il problema ambientale vengono risolti attraverso una re-immissione del problema etico nella disciplina.Se il fine ultimo dell’economia è infatti non tanto la produzione materiale, quanto il godimento delle necessità della vita, è necessario convertire l’attuale modello volto alla produzione sfrenata (e al di fuori di assunti scientifici) in un modello rispondente alle reali logiche delle esigenze umane, liberate da imposizioni esterne quali quelle dell’induzione di bisogni.Orientando la produzione economica secondo criteri più razionali, e una logica umanista, sarà così possibile produrre di meno e sfuggire all’imperativo della crescita, senza necessariamente creare un peggioramento delle condizioni di vita dell’umanità. Anzi liberando l’umanità e l’ambiente del pesante fardello delle eccessive ricadute entropiche.Scendendo dal livello dei concetti di macroeconomia a quello delle scelte microeconomiche da operare nella progettazione di una cellula aziendale il passo è breve.Non possiamo operare trasformazioni di energia in produzioni e, quindi, in denaro senza tenere conto dei principi ineluttabili della termodinamica.Non possiamo pertanto creare un sistema produttivo senza tenere conto delle regole che sono alla base dei rendimenti di un processo.Se non operiamo scelte in tal senso graveremo comunque sul sistema, impoverendolo, deteriorandolo, ed anche se la PLV della nostra azienda si incrementerà per un certo periodo, le ricadute esterne (fabbisogno di materie prime, ecc.) ed interne (fertilità, biodiversità, ecc.) saranno negative, tanto da scomodare anche una responsabilità etica dell’imprenditore.Il legame tra le nostre scelte e ciò che ci circonda ci deve coinvolgere eticamente, tanto che si può affermare, senza possibilità di smentita, che qualunque scelta operata fuori dai principi della termodinamica è eticamente inopportuna.In tal senso è evidente che un buon punto di partenza per la costruzione di un’azienda che corrisponda a tutte le esigenze produttive, etiche ed economiche, è quella della conoscenza dei meccanismi energetici che stanno alla base dei sistemi biologici.Per poter affrontare uno studio dell’agroecologia che abbia un solido legame con i sistemi economici dobbiamo cambiare, pertanto, il nostro punto di vista, la nostra percezione della realtà, il nostro approccio con le cose e i rapporti che intercorrono tra esse.Dobbiamo cambiare sostanzialmente il nostro sistema percettivo, senza il quale ogni operazione futura ed ogni scelta rischia di essere sempre inficiata di quel “peccato originale” che ha contraddistinto una lunga fase della storia dell’economia e dei costumi ad essa correlati.In questo ci agevola, ancora una volta, la grande innovazione che sta avvenendo nella comprensione delle leggi della fisica, soprattutto della meccanica quantistica che, come l’avvento della scoperta della sfericità del mondo, a seguito della scoperta di C. Colombo, sta cambiando la nostra capacità di percezione della natura e della realtà in cui viviamo.In tal senso possiamo affermare che l’agricoltura intensiva sta alla fisica classica come l’agroecologia sta alla fisica quantistica. Il punto di vista diventa più complesso ed interattivo ed il modo di comportarci è consequenziale.Nella fisica classica, ed in tutte le discipline collegate, non ultime le scienze agronomiche, i processi venivano visti spesso in maniera lineare, puntuali, non collegati.Nella fisica quantistica vige il concetto di “tutto è uno” cioè di un continuum che coinvolge ogni singolo elemento del sistema in maniera correlata e senza che si possa mai separare, come affermava nel 1714 Leibniz G. W., una monade da un’altra.Gli ecosistemi rispondono, senza ombra di dubbio, alle leggi della fisica ed essi tendono sempre ad uno stadio di maggiore equilibrio.Così non potendo alienare la progettazione delle aziende agricole da questi concetti è evidente che nella loro organizzazione si debbano seguire, come vedremo in seguito, le stesse regole.Si comprende, quindi, come la bioeconomia e l’agroecologia sono due concetti interconnessi che si concentrano sulla sostenibilità e l’ottimizzazione delle risorse naturali nel settore agricolo e agroalimentare.In sintesi, bioeconomia e agroecologia convergono, con i relativi ambiti di applicazione, nella visione di uno sviluppo agricolo, agroalimentare e sociale sostenibile e responsabile, basato sulla valorizzazione delle risorse biologiche, il rispetto dell’ambiente e la tutela della biodiversità. La loro integrazione può fornire soluzioni innovative e sinergiche per affrontare le sfide globali legate alla produzione alimentare e alla gestione delle risorse naturali. Guido Bissanti Il presente articolo è una delle sintesi che emergono dal libro di prossima pubblicazione sull’agroecologia (primavera 2024) a firma del sottoscritto e degli altri ricercatori: Giovanni Dara Guccione (CREA-PB), Barbara Manachini (UNIPA), Paola Quatrini (UNIPA) e con la prefazione di Luca Mercalli (presidente Società Meteorologica Italiana). Navigazione articoli AGROECOLOGIA ED EFFICIENZA ECOLOGICA